Viaggiare nel sonno

Una delle cose che colpisce durante i viaggi in Giappone è l’apparentemente incredibile capacità dei giapponesi di prendere sonno non appena saliti su un mezzo pubblico. Non tutti i passeggeri autoctoni si lasciano andare al sonno, sia chiaro. Ma quelli, non rarissimi, che lo fanno, sembrano dormire con un tale gusto e abbandono da suscitare quasi una malcelata invidia, soprattutto in chi è un turista ancora scombussolato dagli effetti del jet-lag.

Ho osservato spesso questi viaggiatori immersi nel sonno. Una volta, in treno da Tokyo a Narita, un giovane impiegato ha dormito per tutto il tragitto con la testa appoggiata alla mia spalla. Mi è parso naturale lasciarlo tranquillo, anche se ogni tanto la testa gli scivolava talmente da farmi temere me lo sarei trovato in grembo. Per fortuna si risistemava inconsciamente ogni volta che si abbandonava troppo.

Non sono solo gli impiegati a farsi quello che sembra un sonnellino, ma che secondo me è talvolta l’unico modo per mettere insieme un numero decente di ore totali di sonno in una vita da lavoratore pendolare. Anche gli studenti cedono al sonno, magari in piedi, attaccati alle maniglie di sostegno, con gli auricolari nelle orecchie a suonare una musica che fa da colonna sonora a sogni brevi e spezzettati dalla realtà.

E tutti, magicamente, si destano non appena viene annunciata la loro fermata, pronti e vigili per immergersi nuovamente nel flusso esterno, dopo la permanenza in quel luogo un po’ sospeso, come congelato nel tempo, che è il mezzo di trasporto pubblico. Immagino che comunque ci sia chi perde la propria fermata perché non riesce a svegliarsi nel momento giusto, in una beata incoscienza del contesto regalata da un buon sonno.

Vedere questi volti di persone con gli occhi chiusi, alcuni con la bocca socchiusa nel respiro un po’ più pesante, ma la maggior parte con la serena serietà di una statua del Buddha, mi ha sempre dato una sensazione di tranquillità. A differenza di me, che se cerco di dormire nei mezzi pubblici praticamente per abitudine mi abbarbico alla mia borsa o alle valigie con il risultato di non avere mai la sicurezza per estraniarmi un attimo, loro sono del tutto sicuri che nessuno approfitterà del sonno per fare qualcosa di male.

Pare di leggere parte delle loro storie, nei volti che puoi guardare con meno imbarazzo e timore di sembrare inopportuno, perché la finestra degli occhi è temporaneamente chiusa.

C’è il salaryman un pò alticcio che ha appena finito la serata di giro dei locali con i colleghi e i superiori che magari nemmeno sopporta, ma ai quali deve dimostrare di essere uomo con spirito di squadra. Li rivedrà tra alcune ore, troppo poche per potersi davvero rilassare. E tra obnubilamento da alcolici, tristezza e stanchezza, con il sonno ruba alla routine qualche momento solo suo.

C’è la ragazza in divisa scolastica, la borsa piena di libri e quaderni sommersa da pupazzetti graziosi che oscillano ad ogni movimento del convoglio. Ogni tanto riapre gli occhi per un battito di ciglia, come timorosa di aver assunto un’aria ridicola. Ha trascorso la giornata tra ore di lezione e scuola preparatoria per gli esami di ammissione all’università dove spera di essere ammessa. Magari, se riuscirà nel suo intento, potrà trasferirsi nella grande città e lasciare la noiosa cittadina di provincia che la costringe a questi lunghi spostamenti.

C’è la casalinga che sin dal mattino presto si è occupata dei membri della famiglia che trascorreranno la giornata fuori casa: una volta che tutti sono usciti, ha seguito le faccende domestiche, è andata in visita dai suoceri o dai genitori, occupandosi delle loro necessità, ha trascorso un po’ di tempo in un club che si dedica a qualche attività artistica o tradizionale dove ha alcune amiche, è andata a fare spese, e ora sta tornando a casa in tutta fretta per accogliere i figli e il marito al loro rientro.

Storie immaginate, vicende associate a dei volti di cui non conosco i nomi. Il sonno di viaggiatori che viene rispettato dalla comunità, perché suggerisce l’essersi impegnati ed avercela messa tutta, qualsiasi sia il ruolo che la società ti ha attribuito. Un altro aspetto della vita che ho conosciuto in Giappone.