Storia di due tazze e di un tè pomeridiano

Un attimo per del tè, questo pomeriggio. Prendo la mia tazza, quella riservata al tè da preparare con calma, con le foglioline che mentre restano in infusione sembrano riprendere vita. Non il veloce tè della mattina, quello nero in bustine che fa da apripista al caffè, bevuto poco dopo. La mia tazza se ne sta nel suo solito angolo, in cucina, insieme alla sorella, che mostra gli stessi fiori ma su un fondo di colore diverso, un blu cupo come abissi marini, come cielo notturno. Questa l’ho assegnata a mio marito. Quella che ho tenuto per me è di un verde pallido, che sfuma in toni bruniti e pagliuzze bianche, come sabbia leggera. Un colore gentile, che non si fa notare, che rassicura.

Ricordo il momento in cui ho preso queste due tazze, che potrebbero essere anche piccole ciotole, o coppe. Un negozio di Osaka, uno dei quei posti pieni di suppellettili da cucina con pile e pile di ciotole, tazze, bicchieri. Mentre giravo tra gli scaffali prestavo attenzione a come mi muovevo, per non rischiare di urtare qualcosa, vagando tra file di piatti e ciotole impilate l’una dentro l’altra, il cui motivo e colore dovevi indovinare dal bordo, tra scaffali colmi di bicchieri, dove pareva di dover stare al gioco e cercare di trovarne due uguali, se proprio volevi fare la coppia. Sono rimasta dentro a lungo, in quel negozio. Facendo preoccupare mio marito che, mentre mi aspettava camminando per la via, mi aveva vista entrare in un negozio poco oltre, dal quale tuttavia ero uscita quasi subito, senza avvertirlo, per poi andarmene dall’altra parte. Mi disse poi che continuava a scrutare dentro l’altro negozio, pensando che magari fossi nascosta dagli scaffali o fossi andata al piano superiore, mentre i gestori lo guardavano un po’ sospettosi per quell’insistenza e lui si chiedeva dove fossi finita.

Insieme a me, nel negozio in cui poi ho effettivamente acquistato, un ragazzo e una ragazza cinesi, che osservavano i pezzi con la stessa mia attenta indecisione, vista la quantità di cose tra cui scegliere. Quando infine mi decido porto due grandi ciotole e le due tazze al piccolo banco quadrato addossato alla testata di uno degli scaffali, dove se ne sta all’erta l’arcigna proprietaria. Mi stupisco dei modi bruschi della donna, una signora sulla sessantina con un grembiule da lavoro. Batte sui tasti di una calcolatrice il totale da pagare e mi mostra le cifre, poi mi indica quasi con sprezzo della carta, fogli di quotidiani, ammassati sotto al banchetto. Il tutto senza dire una sola parola, sempre con le labbra serrate e lo sguardo duro. Mi visualizzo sopra la sua testa un fumetto con scritto ” ‘ràngite” (arrangiati, in dialetto veneziano). Ringrazio e comincio ad incartare i miei acquisti, un po’ intimidita. Uscita dal negozio, rido ripensando all’atteggiamento della signora. Mi diverte sempre, durante i miei viaggi, vedere smentite quelle caratteristiche che molti attribuiscono indifferentemente a tutti i giapponesi, senza pensare che la società è fatta pur sempre di individui, ognuno con i propri pregi e difetti.

Bevo il mio tè, il calore della tazza mi scalda le mani. Ho sempre un po’ freddo, in questi giorni, e gli occhi stanchi. Le volute del lieve innalzarsi del vapore dall’interno della tazza mi accarezzano lievi le palpebre e gli zigomi. Ritorno per un istante a Osaka, e di lì ad un altro negozietto simile, a Narita, dove nel dicembre 2018 ho preso dei bicchierini per mia mamma. Lì il gestore era un vecchietto, seduto dietro una scrivania nel fondo del negozio. Leggeva un quotidiano, imperturbabile, mentre io giravo per il negozio. Sulla parete dietro di lui, un orologio dal quadrante tondo e una foto dell’allora Imperatore. Quando mi sono avvicinata con i due bicchierini blu tempestati di piccoli fiori bianchi, esordendo con un “Konnichi-wa” il vecchino è saltato sulla sedia e mi ha risposto con un “Konnichi-wa”, poi ha preso tutto premuroso i due bicchierini e li ha incartati con gentilezza in fogli di giornale, tutto concentrato.

Un sorso di tè, di quel leggero sapore amarognolo che sa di verde, e rivedo anche un negozio di Kyoto, nei pressi del mercato Nishiki. Lì ho preso, nel giugno dello scorso anno, altri due bicchierini sempre per mia mamma, con fiori di ciliegio su fondo sabbia chiaro, che quasi parevano veri fiori seccati e diventati tutt’uno con la superficie del bicchiere. Lì il proprietario, un uomo ancora giovane e con un volto sereno e sorridente, prima di imballare con cura i due bicchierini li ha guardati per un po’, uno alla volta, e ne ha levigato i fondi con attenzione con una sorta di carta vetrata, con movimenti veloci e armoniosi.

Finisco il tè, lavo la mia tazza. Da quando l’ho scelta, in quell’agosto del 2016 a Osaka, accompagna questi momenti. Anche ora, mentre tutto sembra lontanissimo, evoca dolci ricordi. Come in un incantesimo.