Prime impressioni e treni in ritardo

Non appena arriviamo in Giappone, ci crolla un mito. Il treno su cui viaggiamo per raggiungere Tokyo dall’aeroporto di Narita è in ritardo, e resta a lungo fermo sui binari. Il tifone in corso ha causato problemi sulla linea, presenza di detriti, recita un pannello in una spiegazione che ci capiterà di vedere molte altre volte nei viaggi futuri. Nella quasi totalità dei casi, in tutti i viaggi, troveremo sempre treni che spaccano il minuto, ma proprio il nostro primissimo treno non doveva confermare tale puntualità.

Guardo dai finestrini i primi agglomerati urbani che si innalzano oltre il vetro, nel buio. Gli interni del treno si riflettono sulla superficie, e finisco per vedere il mio volto disegnato contro i condomini fitti di porte esterne e finestre illuminate, dalle strutture così familiari eppure visti per la prima volta, e il cielo scuro. Sono davvero qui, pare pensare la mia espressione un po’ stanca e soddisfatta. Il fatto che il treno sia in ritardo inoltre sembra avvertirmi che sono in un paese reale, con pregi e difetti come ogni paese del mondo.

Quando arriviamo a Meguro, verso le dieci e mezza di sera, la prima scena che mi si presenta lungo le strade è quella di un impiegato completamente ubriaco, semisdraiato sul marciapiede. Accanto a lui un taxista attende in piedi, pazientemente, dicendogli qualcosa in tono incoraggiante, mentre il veicolo se ne sta parcheggiato di fronte a loro, la portiera del passeggero spalancata. Un salaryman provato dal giro serale di bevute insieme ai colleghi, comprendo. Fenomeno di cui avevo solo letto, e che ora vedo nella realtà. Poco lontano, un gruppetto di altri impiegati in camicia bianca e giacca nera cammina ridendo e schiamazzando. Degli operai con giubbetti arancio, caschetto e bastoni luminosi stanno lavorando in un cantiere lungo la carreggiata.

Osservo tutto come incantata, distratta mano a mano che cammino da ogni nuovo particolare che mi si presenta dinanzi. Ogni cosa, ogni scorcio di città è scoperta e al tempo stesso riconoscimento. Il fatto che mi scorrano subito davanti anche quelli che possono apparire come aspetti negativi non intacca l’idea che avevo portato con me del Giappone, legata alla convinzione che niente e nessuno è perfetto, anche se talvolta la superficie sembra avvicinarsi alla perfezione.

Ogni viaggio mi mostrerà lati diversi di questo paese, proverò momenti di insofferenza ed incomprensione che tuttavia mi faranno venire sempre più voglia di capirne qualcos’altro, come se si trattasse di una sfida continua che si ha la consapevolezza di non poter mai vincere davvero. Ogni volta, di fronte a comportamenti inaspettati, mi convinco che un paese è sempre pur fatto di persone, ognuna con un carattere diverso e un vissuto che le fanno vivere in un certo modo il contesto in cui nasce e trascorre la sua esistenza.

Forse non capirò mai del tutto il Giappone, anche se il modo di comportarsi e di pensare dei suoi abitanti è quanto di più simile al mio carattere innato abbia mai trovato, e nonostante mi senta totalmente a mio agio quando mi trovo lì. Ma questo continuo mistero e confronto non fa altro che farmi amare di più questo paese, e farmi vedere con altri occhi anche il mio paese natio.

Mai fermarsi alle prime impressioni, sia positive che negative: nonostante siano cruciali, spesso celano in sé strati geologici di significati che si dovrebbe voler perlomeno provare a scoprire, prima di affrettare il giudizio.