Con i fiori negli occhi

Il solo autentico viaggio, il solo bagno di Giovinezza, non sarebbe nell’andare verso nuovi paesaggi, ma nell’avere altri occhi, nel vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, nel vedere i cento universi che ciascuno di loro vede, che ciascuno di loro è (…)

Marcel Proust, “La Prigioniera”

Prendo in prestito una citazione di Proust, tratta dalla sua immensa opera “Alla ricerca del tempo perduto” per mettere insieme diversi pensieri che partendo dal Giappone, come al solito, spaziano sulla vita quotidiana in generale. Oggi mi chiedevo che cosa mi abbia donato questo paese, rispetto a quando non lo conoscevo o perlomeno lo conoscevo in modo più superficiale. E mi sono trovata a pensare che sì, anche nel normale svolgersi della mia routine, qui nel mio amato paese natale, avere nella mente anche quello che è il Giappone mi ha regalato in un certo qual modo nuovi occhi.

Ci sono cose che prima non notavo, della mia realtà, sulle quali ora, attraverso gli occhi della cultura giapponese, tendo a soffermarmi con maggior attenzione. Il cambio delle stagioni e l’apparire dei diversi tipi di piante e fiori, che anche qui abbiamo, ad esempio: da quando mi sono interessata maggiormente al Giappone, assorbendo l’attenzione che tale cultura pone per le fioriture e per le stagioni con i loro cibi caratteristici, mi trovo ad apprezzare maggiormente l’apparire dei primi fiori di ciliegio e delle ortensie in primavera, dei cachi e delle castagne in autunno. Non che prima mi suscitassero totale indifferenza: semplicemente ora li guardo con occhi che li leggono anche attraverso i significati e la bellezza che vengono attribuiti loro in Giappone.

Questo vedere il mondo a me famigliare con gli occhi consci di altro mi ha dato in questi anni una spinta in più a coltivare quella capacità e, forse, necessità, di guardare con stupore rinnovato e grato anche il paesaggio fuori dalla porta di casa, trovandovi sempre nuovi particolari da osservare: non nuovi paesaggi ma nuovi occhi, appunto, altri occhi. Certo, aver anche visto e vissuto paesaggi diversi va ad arricchire quella che è l’esperienza e permette, come dico sempre quando ho la possibilità di compiere un viaggio, qualsiasi viaggio, di crearsi un tesoro di ricordi nell’animo e nel cuore. Ma se questi paesaggi ammirati non divengono anche altro, non ci accompagnano in modo tale da donare ai nostri occhi la capacità di rinnovare lo stupore e di ampliarsi verso il mondo, leggendo anche quanto consideriamo famigliare o ormai primo di vere sorprese con gli occhi pieni di giovinezza, intesa come slancio, scoperta e riscoperta continua, allora quanto abbiamo vissuto resterà qualcosa di isolato e fine a se stesso, per quanto bello. Non sarà davvero divenuto parte di noi.

Ricordo che durante il primo viaggio in Giappone rimasi incantata dalle forme un po’ strane dei tetti delle case tradizionali in periferia, volute di tegole lucide che davano a quanto osservavo un’aria così giapponese, creando mosaici di verde, azzurro cupo, nero e marrone, rilucenti sotto il sole quasi come specchi. Una volta tornata a casa, in una mattina di sole intenso, vidi il tetto della casa di fronte a casa mia, che sfavillava sotto la luce. Mi tornarono immediatamente alla mente quei tetti, e insieme al ricordo e alla nostalgia provai anche stupore per quella improvvisa bellezza, di cui mi accorgevo associandola ad altro, caricandola sì di ricordi, ma vedendola al contempo con occhi nuovi.

Quindi, quando penso a cosa mi abbia donato il Giappone, mi viene da dire che mi ha insegnato come avere i fiori negli occhi. Lo stupore e la bellezza malinconica della fioritura dei ciliegi è infatti una delle prime cose che ho cominciato a guardare con gli occhi di un altro, in questo caso di un popolo che ad essa ha associato un universo di significati. Quindi, per me questo avere altri occhi, nuovi occhi, potrebbe essere descritto come avere sempre uno sguardo che non abbia paura di fiorire, e legga la bellezza ovunque.