Tokyo alla finestra


Ho adorato, come sempre, guardare Tokyo dalla finestra dell’hotel in cui abbiamo soggiornato durante l’ultimo viaggio. Un rettangolo di vetro all’ottavo piano che offriva allo sguardo un frammento di metropoli, un quadro di una parte di Nishi-Shinjuku. Sulla destra, gruppi di grattacieli, sfavillanti nella sera. Dinanzi, una distesa di edifici bassi, a due o tre piani, e qualche grande condominio in lontananza.

C’è un piccolo parco, con uno specchio d’acqua e qualche gradino in discesa che lo attraversa. Lungo una strada un albero di kaki tinge con i suoi frutti simili a tonde lanterne fiammeggianti l’uniformità di colori dell’edilizia urbana. La mattina presto, poco prima delle sette, persone di ogni tipo si affrettano alla spicciolata lungo la via che porta sulla strada principale, verso la stazione della metropolitana. La ragazza con il collo e metà volto nascosti in una sciarpona, e per il resto abiti molto leggeri. Mi continuo a stupire di come, in questi giorni che sebbene abbiano temperature più alte della media sono pur sempre freddi, molte persone vestano da inizio autunno. Forse è perché sanno di dover trascorrere un bel po’ di tempo sui mezzi, dove il riscaldamento raggiunge temperature da sauna. La madre in bicicletta con il seggiolino occupato dal bimbo, il cappellino posato sulla testolina. La signora pratica ed elegante che trasporta due grosse borse di plastica, bilanciandole mentre cammina con passo veloce. L’operaio che sale sul furgoncino parcheggiato poco lontano e fa qualche rapida manovra per uscire dalle righe. L’impiegato che non smette mai di fissare lo smartphone mentre cammina, l’altra mano che dondola la valigetta.

E poi lui, il signore avanti con l’età che scosta una tenda dal terzo piano di una palazzina, fa scorrere la porta ed esce sul terrazzo, vestito di una tuta scura. Si appoggia sul parapetto e accende una sigaretta. È tutto sporto in avanti con l’attenzione di chi sta osservando ogni cosa, avido dei primi moti di vita cittadina. Finita la sigaretta rientra in casa, salvo uscire di nuovo dopo qualche minuto con una tazza in mano, forse di caffè, che appoggia su un mobiletto per accedersi un’altra sigaretta. Di nuovo osserva l’animarsi delle vie secondarie.

Quattro mattine, ed era sempre lì, puntuale con la sua routine. Forse rimpiange un tempo in cui anche lui doveva affrettarsi lungo la strada, nella corsa ai mezzi e al lavoro. Con il buio, la distesa di luci mi incanta come avessi di fronte una galassia accesa di mille costellazioni. Una sera, sul tetto di una palazzina, o forse era un terrazzo, il buio non permette di distinguere benissimo, alcuni ragazzi la cui presenza è rivelata solo dal riverbero azzurrino sui loro volti degli schermi degli smartphone, intervallati dall’accendersi aranciato di qualche sigaretta. Le strade secondarie sono deserte, ed è una sorpresa quando si vede una sagoma umana, la schiena un po’ curva, il passo più rilassato rispetto a quello mantenuto dalle persone durante la giornata. Le luci accese delle finestre suggeriscono ognuna vite segrete, quelle dei grattacieli portano a domandarsi se si tratti solo di uffici, e se ci sia ancora gente che sta lavorandoci.

Osservare, e fare un quadro nella memoria di quello che è questo paese, non solo templi e santuari, per cui ho una forte passione, o paesaggi mozzafiato, o cucina, o cultura pop e alta che si alternano e convivono. È vita quotidiana che scorre, persone, edifici normali e magari un po’ brutti, seccature e piccole continue bellezze.